domenica 30 novembre 2014

Quota 1.760 euro: dai che superiamo i 2000!

Abbiamo raggiunto la quota di 1.760 euro raccolti dalle diverse ONG: GRAZIE!
Riusciamo a chiudere il giro superando i 2000 euro?
Chiediamo un piccolo sforzo a tutti.

Domani - dulcis in fundo - visiteremo il Progetto di Ponti ONLUS a Villa Italì (sobborgo degradato di Quilmes, sud di Buenos Aires): questo progetto – attivo dal 2008 - ha supportato un gruppo di giovani, che non frequentavano la scuola, erano senza lavoro e vivevano nella marginalità e nel disorientamento: supportati da operatori della “Asociaciòn de Cartoneros” grazie al sostegno finanziario di PONTI e di FONDAZIONE SAN ZENO hanno costruito un piccolo laboratorio dove i ragazzi apprendono il mestiere del recupero, selezione e riciclaggio del ferro e della plastica: un’officina equipaggiata con specifici macchinari dove il materiale metallico e plastico raccolto, selezionato, opportunamente modificato, diventa materia prima per realizzare oggetti utili, successivamente posti in vendita nei mercati rionali. Grazie a quest’attività molti giovani coinvolti si sono creati un futuro lavorativo autonomo.

Crediamo che PONTI Onlus meriti due parole di presentazione perché è una ONG molto particolare: veronese DOC, raccoglie fondi attraverso spettacoli teatrali e musicali, mostre, video, conferenze, pubblicazioni: arte e artisti per la solidarietà.... "la bellezza che si fa aiuto concreto".... geniale...



Veronesi nel Mondo

Dimitri, ha preso contatto con il Club dei Veronesi nel Mondo... molte città o regioni Italiane hanno loro organizzazioni a Buenos Aires (i più numerosi e attivi sono i calabresi - che tra l'altro hanno la sede vicino al Collegio Salesiano di Don Vittorino e ieri pomeriggio vendevano prodotti tipici calabresi con in banchetti in strada).
Dimitri si sposa in taxi, mentre Alberto persiste in bici.
Quando arriviamo ci accolgono Luciano e Danilo, due signori con i capelli bianchi ma con energia da vendere. La sede si trova presso la Casa delle Suore della Misericordia (che sono veronesi) dove c'è una grande scuola che la madre superiora, Suor Lucilla, veronese di Isola della Scala, ci accompagna a visitare: c'è anche una cappella con una statua di "San Zen che ride", con tanto di pesce che penzola dal vincastro!
Prendiamo il caffè nella sede vera e propria, dove c'è una grande foto di Verona vista da Castel San Pietro (che bella che è la nostra città!) e nella biblioteca c'è la collana completa dei libri di Salgari.
Luciano (nato a Verona città) e Danilo (di Bussolengo) ci raccontano di quando sono arrivati qui bambini dopo la guerra: prima veniva il papà che, lavorando giorno e notte, comprava entro un anno il biglietto per la mamma e i figli e magari una casa dove accoglierli.... Lavoro ce n'era molto ma bisognava darsi da fare! E lasciare Verona non era facile... lo diceva già Shakespeare: "Non c'è mondo per me al di là delle mura di Verona".
Luciano ci racconta le attività: oltre alla Scuola di Italiano dal 2007 organizzano spettacoli di lirica nel teatro delle Suore, spettacoli liberi e gratuiti a cui tutto il quartiere viene ad assistere.
Nonostante siano qui da quasi 70 anni, sentono di amare Verona più di quanto Verona li ami. Si sentono un po' dimenticati in particolare dal mondo imprenditoriale veronese che li considera un po' "extracomunitari"...
Ci organizzano anche il transfer di martedì mattina verso l'aeroporto... è bello che sia un veronese ad accompagnarci verso il viaggio che ci riporterà a Verona...

venerdì 28 novembre 2014

Coppa Libertadores

Il polso di Dimitri è in miglioramento... niente raggi.
La mattina passa rapida: andiamo in agenzia di Iberia e modifichiamo la prenotazione per il viaggio di ritorno: atterreremo a Linate mercoledì 3 dicembre alle 11 del mattino (ma non venite al terminal: rischieremmo il blocco dell'areoporto!).
Iniziamo già a recuperare gli scatoloni per le bici.
Nel pomeriggio Alberto incontra di nuovo Don Vittorino per visitare il progetto Ponti "Apoyo Escolar" - un doposcuola nella Casa San'Antonio nel quartiere povero di Almagro).
La sfortuna vuole che:
1) Don Vittorino - salesiano veronese, da una vita in America Latina e da 20 anni a Buenos Aires, sia convalescente dopo una malattia e la sua debolezza residua renda difficile muoversi e anche discutere del progetto.
2) Sia l'ultimo giorno di scuola (in questo emisfero anche il calendario scolastico è sottosopra!) per cui i bambini sono molto pochi...
3) Proprio oggi pomeriggio ci sia una importante riunione a cui partecipano tutti i referenti del progetto e nessuno può sostituire Don Vittorino.
Alla fine la visita consente di vedere solo le strutture: Don Vittorino racconta che dove ora c'è un campo da gioco pavimentato all'aperto, cento anni fa, quando sono arrivati i salesiani, il primo parroco - Don Lorenzo - aveva fatto un orto per dare da mangiare ai bambini che venivano a giocare a calcio.
Ad agosto 2014 la squadra di calcio del quartiere (che si chiama San Lorenzo e che nel frattempo è diventata una delle squadre di Buenos Aires), ha vinto la coppa Libertadores... come se il Chievo vincesse la Champions League (che una volta si chiamava Coppa dei Campioni)... piccoli miracoli metropolitani...
A proposito di Coppa Liberatadores... in serata c'è Boca Juniors -River Plate (uno dei derby di Buenos Aires... il più sentito...): vince il River 1-0: se la vedrà con il Nacional de Medellin... per le vie di Buenos Aires si scatena il tripudio... in Argentina ti senti a casa... è proprio come in Italia...

giovedì 27 novembre 2014

La sfortuna e Dimitri

Dopo 24 ore di paesaggi subtropicali prima e campagne poi, con molte ore di ritardo siamo arrivati a Buenos Aires.
Le bici hanno viaggiato per conto loro tramite corriere perché la compagnia di viaggi in bus con cui avevamo comprato il biglietto diceva che sul bus non c'era posto (ma il bus era vuoto).
Morale della favola arriviamo a Buenos Aires e la bici di Alberto ha il deragliatore posteriore in posizione perpendicolare a quella normale e quella di Dimitri ha il lato destro del portapacchi anteriore rotto. Dimitri è nero... anche se la pedalata è finita... pagare per farsi rompere l'attrezzatura...
Nemmeno un asado con birra raddrizza l'umore...
Ci dicono che all'Areoparque - l'areoporto dei voli nazionali, a 3 km dal terminal dei bus - c'è un ufficio di Iberia (dobbiamo modificare la prenotazione aerea per il volo di ritorno).
Ci spostiamo in bici... dopo 1 km un fuoristrada taglia la strada a Dimitri, tocca una delle borse laterali, Dimitri finisce contro il marciapiede e inevitabilmente cade: escoriazioni alle mani,  contusioni a mento, labbro superiore, torace e gamba sinistra... l'autista del fuoristrada e due portuali si fermano e Alberto, provvede a medicarlo.
Non sembra niente di grave ma un polso gli duole particolarmente. Vedremo... se si gonfia, faremi i raggi.
All'Areoparque l'ufficio di Iberia non c'è... ci hanno dato ancora una volta un'informazione sbagliata e Dimitri ha rischiato di farsi male inutilmente.
Quando arriviamo nel centro l'ufficio di Iberia è già chiuso.
Ci dirigiamo verso il collegio salesiano dove Don Vittorino, il sacerdote veronese punto di riferimento di Ponti Onlus, ci aspetta.
Quanto arriviamo ci accoglie con affetto, in particolare Dimitri - che è così nero che non parla neanche più - e ci porta all'alloggio: un appartamento con tre stanze, bagno e cucina in al sesto piano di un palazzo nel centro della capitale argentina!

mercoledì 26 novembre 2014

Siamo a Salta

Con un pò di magone abbiamo caricato le bici sul bus e dopo 11 ore siamo arrivati a Salta (Argentina). Lo spot satellitare sul bus non funziona perché la carcassa del bus fa da gabbia di Faraday.
Il bus è passato tra gole rocciose, molti salar e centinaia di chilometri di deserto: non saremmo passati da lì ma vedere che questi posti sono così spettacolari...
Comunque basta lamentarsi... questo viaggio è un privilegio e dobbiamo solo ringraziare!
Oggi partenza per Buenos Aires.
Altre 20 ore di bus! Arriveremo domani in tarda mattinata.

lunedì 24 novembre 2014

Il viaggio continua...

Avremo bisogno di qualche giorno per riorganizzarci.
Il viaggio però continua, in fin dei conti la bici è uno stile, il nostro, ma non è il fine...
Mancavano 2000 km di discesa e pianura con vento a favore e a suon di carne argentina.
Ce lo meritavamo ma pazienza.
A Buenos Aires però entreremo nella città che non si vede. Quella di chi non aveva prospettive e invece grazie alla bellezza, all'amore e all'impegno ce l'ha fatta. 

Bollettino Medico

Alla visita oculistica - che dopo aver contattato 7 centri - siamo riusciti a fare, è emerso che il disturbo visivo che Dimitri accusa, è dovuto ad una piccola emorragia retinica.
Non sono necessari provvedimenti terapeutici urgenti ma è sconsigliabile lo sforzo fisico per una decina di giorni e comunque fino a riassorbimento dell'emorragia.
Stanti così le cose dobbiamo con molto dispiacere dichiarare il forfait per ragioni mediche.
Nei prossimi giorni ci trasferiremo a Buenos Aires in bus.
"Nella vita mi sono sempre capitati colpi di fortuna e colpi di scalogna. Nel complesso però mi ritengo un uomo fortunato".
Cesarino Fava

Un oculista a Calama

Ci siamo trasferiti a Calama in bus perché l'ospedale di San Pedro de Atacama è sprovvisto di quasi tutto (c'è un medico reperibile solo in caso di pericolo di vita e non di vista).
A  Calama giriamo tre ospedali ma è domenica e gli oculisti sono introvabili.
Terminiamo il tour con un appuntamento per lunedì mattina ore 9 in sovralista... entro la giornata ci hanno assicurato che l'occhio del Disu verrà visto...

sabato 22 novembre 2014

Fuori dal deserto (Goodbye Bolivia)!


La giornata alle 5 inizia così: Dimitri nel sacco a pelo a ricaricare le pile, Alberto e due fenicotteri nella pozza di acqua termale ad aspettare il sorgere del sole mentre le montagne davanti si colorano fino all'arrivo del disco infuocato...
Abbondante colazione con pancake, dulce de leche e latte e cioccolato (viva viva San Eusebio - il proprietario!) insieme a tedeschi e spagnoli.
Dura vita del ciclista andino...
Alla partenza pedaliamo nel deserto del Dali, l'ultima parte del Lipez sud, dove dalla sabbia di un grande campo di lava si ergono solitari speroni rocciosi come tanti spettatori del nostro passaggio silenzioso.
Saliamo un passo facile e scendiamo su fondo sabbia (dove la bici scavano lunghe piste da biglie in cui purtroppo non abbiamo tempo di fermarci a giocare) fino ad un piccolo salar prima e alla Laguna Verde poi. La laguna è grande e di un intenso verde smeraldo e si trova sotto due splendide montagne: una è il Licancabur, un altro vulcano di 6000 metri (su cui non si può salire in


bici).
Non ci sono uccelli perché le acque contengono arsenico (motivo della colorazione).
Ci fermiamo a mangiare alla casa delle guide del Parco dove troviamo una grossa pastasciutta e un pò di carne.
Ci dicono che mancano 6 km alla dogana boliviana ma quando ripartiamo il vento è furioso: non ha nessuna intenzione di lasciarci uscire dal deserto e dalla Bolivia! La battaglia dura un'ora in cui con il massimo sforzo riusciamo a percorrere i 6 km. Alla dogana ci mettono il timbro senza neanche guardarci ma raccomandandoci di stare attenti ai camion: la scorsa settimana una ciclista è stata arrotata e uccisa!
Ancora 5 km e siamo all'asfalto! E poi 42 km di discesa fino a San Pedro di Atacama che filano lisci lisci!
Siamo fuori dalla Bolivia: ci voltiamo l'ultima volta a guardare le montagne boliviane. Un paese molto "duro", ma che spettacolo incredibile! E gli ultimi 600 km di sterrato nel deserto sono stati durissimi ma indimenticabili!
Sul più bello che stiamo per arrivare a Dimitri compare un disturbo oculare che Alberto  giudica meritevole di approfondimento: domani andremo a Calama in bus alla ricerca di un oculista.
Intanto ci consoliamo con un superasado (che non è argentino ma va benissimo)... pollo, manzo, maiale... San Pedro sia lodato!

Aggiornamento Blog

Avviso ai lettori aggiornati i post dei giorni scorsi anche con le foto!
Dal 9 novembre in poi
Buona visione a tutti
P.S. Mancano ancora gli ultimi giorni

venerdì 21 novembre 2014

Check-in/OK messaggio dal Pedalande Localizzatore SPOT

Pedalande
Latitudine:-22.53566
Longitudine:-67.64966
Posizione GPS Data/Ora:11/21/2014 16:39:33 PET

Messaggio:Tutto bene. Non c'è connessione. Piantiamo la tenda e domani si riparte.

Fai clic sul seguente collegamento per vedere dove mi trovo.
http://fms.ws/KPyRq/22.53566S/67.64966W

Se il link sopra non funziona , provate questo link:
http://maps.google.com/maps?f=q&hl=en&geocode=&q=-22.53566,-67.64966&ll=-22.53566,-67.64966&ie=UTF8&z=12&om=1

Pedalande

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Astenia: il Disu barcolla ma non molla

Risveglio a -3 gradi in tenda per noi stamattina! In compenso ancora cielo azzurro e senza nuvole.
Pochi chilometri dopo la partenza siamo in riva alla Laguna Colorada: miriadi di fenicotteri rosa "pascolano" con le zampe a mollo nell'acqua color rosso sullo sfondo delle montagne rosse che circondano la laguna. Lo spettacolo di grazia e delicatezza è indimenticabile: i fenicotteri rosa hanno il becco giallo e le ali bordate di nero e quando ci avviciniamo con pazienza si allontanano camminando sulle acque (come direbbe Marco Paolini) "come tanti Gesù Cristi". Scattiamo molte foto.
Inizia la salita e l'astenia di Dimitri già presente ieri si ripresenta in forma molto aumentata: non riesce a spingere sui pedali e procediamo lentamente: forse ha la febbre, forse sta covando una gastroenterite, forse è l'iponutrizione persistente o forse è solo la stanchezza accumulata. Intanto passiamo in paesaggi vulcanici di rara bellezza: campi di lava a pedita d'occhio che contrastano con l'azzurro del cielo. Alle 13 pranziamo nel vento (che non manca mai e stamattina è iniziato prima del solito): mezzo pacco di cracker a testa a cui Dimitri aggiunge pasta di sardine.


Quando ripartiamo ci troviamo su un altipiano con traccie che vanno in ogni direzione: quale prendere? Pedalare nel Lipez non è facile: Herve, il francese con cui avevamo pedalato in Patagonia nel 2010 si era perso e aveva rischiato grosso... cartelli neanche a morire, la cartina non aiuta, fermare un fuoristrada non sarebbe una garanzia... decidiamo allora di fermare tutti i fuoristrada! Dobbiamo essere certi di non sbagliare! Ci sono rimaste solo sue zuppe da mangiare!
Alla fine le indicazioni concordano: dobbiamo passare da alcune fumarole, salire ancora un po' e poi la strada scende in picchiata verso un lago salato: lo spettacolo del grande lago salato che compare e si avvicina mano a mano che scendiamo è straordinario: il blu dell'acqua si mescola col bianco del sale e contrasta con i rossi, i marroni e i bianchi delle montagne e l'azzurro del cielo senza nuvole; qualche fenicottero aggiunge un tocco di classe.
Arriviamo a Polques (con Dimitri che barcolla ma non molla), una località dove c'è solo un Albergue Comunal e una pozza di acqua termale: ci accoglie il Senor Eusebio, l'andino più ciarliero di sempre, e ci dice che l'albergue è "contattato" dalle carovane di fuoristrada per turisti che arriveranno a breve e non c'e posto. Però se vogliamo possiamo dormire per terra nella sala da pranzo dello stabile vicino e mangiare dopo i turisti. Accettiamo (non abbiamo alternative); in attesa dell'arrivo delle carovane, ci offrono anche il the con... i crackers (con noi ci sono anche altri 4 cicloturisti, una simpatica coppia di giovani medici tedeschi fermi per motivi intestinali e due spagnoli "malmostosi" appena arrivati)! Misuriamo la temperatura di Dimitri... niente febbre! Molto bene, deve essere solo la stanchezza estrema! Infatti dopo due ore nella pozza di acqua termale a rimirare il panorama al tramonto... riferiorisce! La cena preparata dalla moglie del Segnor Eusebio non è il massimo ma è abbondante e a noi che non mangiamo da giorni sembra buonissima! Ciacoliamo coi ciclo colleghi tedeschi e andiamo a ricaricare le pile nei sacchi a pelo!

giovedì 20 novembre 2014

Check-in/OK messaggio dal Pedalande Localizzatore SPOT

Pedalande
Latitudine:-22.17697
Longitudine:-67.71738
Posizione GPS Data/Ora:11/20/2014 17:33:06 PET

Messaggio:Tutto bene. Non c'è connessione. Piantiamo la tenda e domani si riparte.

Fai clic sul seguente collegamento per vedere dove mi trovo.
http://fms.ws/KP0zs/22.17697S/67.71738W

Se il link sopra non funziona , provate questo link:
http://maps.google.com/maps?f=q&hl=en&geocode=&q=-22.17697,-67.71738&ll=-22.17697,-67.71738&ie=UTF8&z=12&om=1

Pedalande

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Verso le Lagune

Quetena Chico e il Vulcan Ururuncu sollo sfondo
Da poco prima di Quetena Chico siamo nel Parque Eduardo Avaroa, un parco nazionale famoso per le lagune colorate.
Dopo la soddisfazione dell'Uturuncu dedicheremo gli ultimi 3 giorni in Bolivia a questo parco per scendere poi a San Pedro de Atacama in Cile.
Stamattina ce la prendiamo comoda per riprendere fiato dopo la fatica di ieri e partiamo alle 9.
Stranamente Dimitri è astenico e riusciamo a fare solo 13 km prima di pranzo (però in mezzo a paesaggi rocciosi molto suggestivi). Pensiamo di fare gli altri 37 km che ci porteranno alla Laguna Colorada nel pomeriggio.
Purtroppo i piani vanno modificati: c'è una inaspettata salita fino al trentesimo km a sfiorare i 4800 metri e poi un infinito campo di lava: un enorme piano di terra battuta scura, dove non cresce nessuna pianta, un paesaggio lunare!
L'ostacolo principale però è di nuovo il vento, sempre
contrario e frontale, è cattivo come non mai: ci lascia pedalare a soli 5 km/ora al massimo sforzo! Cominciamo a pensare seriamente che se invece che da Lima a Buenos Aires avessimo pedalato da Buenos Aires a Lima, il vento sarebbe stato a favore per gran parte del percorso e avremmo impiegato metà del tempo!
Lo sterrato è a "calamina", ovvero ondulato come le lamiere dei tetti:  quando la bici prende il ritmo giusto, ci fa sobbalzare sulla sella, temprando ulteriormente (caso mai ce ne fosse stato bisogno), i nostri glutei.
Finalmente arriva la discesa verso la laguna che cominciamo a vedere da lontano e che si ingrandisce mano a mano che ci avviciniamo: dovrebbe essere rossa ma il riflesso del sole al tramonto non ci consente di apprezzarne il colore.
Arrivati quasi all'acqua non troviamo il bivio che ci aspettavamo e decidiamo di piantare la tenda prima che arrivi il buio: per oggi può bastare così; abbiamo sottovalutato la tappa e siamo stati puniti perché non siamo riusciti ad arrivare all'alloggio in cui volevamo arrivare sulle sponde della Laguna Colorada: sulle Ande non ci sono tappe facili!

mercoledì 19 novembre 2014

Capolavoro Uturuncu


La notte è trascorsa in modo concitato: circa un'ora dopo aver mangiato i cibi liofilizzati, quando eravamo già nei sacchi a pelo, Dimitri comincia a sentire un gonfiore in gola e ad un certo punto dice ad Alberto di fare un po' fatica a respirare e anche a parlare: Alberto comincia a sudare freddo nel sacco a pelo: pensa ad un edema della glottide (con adenalina e cortisone che - di comune accordo - sono stati lasciati a Quentena Chico) e si vede già a dover praticare una tracheotomia d'urgenza con coltellino svizzero alla luce della lampada frontale in tenda a 4750 metri... recuperiamo una forchetta e un'ispezione faringea ci tranquillizza: è solo l'ugola di Dimitri che per la polvere e l'aria secca si è gonfiata come un oliva... niente paura... entro l'alba sarà a posto.
Intanto la temperatura in tenda scende a -3, ma se non fosse per il vento rabbioso che scuote incessantemente la tenda, nei nostri supersacchi a pelo si dormirebbe anche bene...

Quota 5700
Il problema è uscirne alle 4 quando suona la sveglia, per cui... rimandiamo alle 5: ci scaldiamo un bel pò di the da bere subito e un litro da portarci nella borraccia termica. Dalla finestrella della tenda guardiamo fiori: il cielo è "despejado", non c'è neanche una nuvola e appena usciamo dalla tenda il sole sorge sull'orizzonte. Il meteo è perfetto: diamoci da fare. Lasciamo le borse in tenda e partiamo scarichi. Dobbiamo salire 1000 metri di dislivello in bici e altri 300 a piedi. Lo sterrato ora ghiaioso, ora roccioso, ora sabbioso, ora farinoso e per alcuni tratti nevoso è molto duro; il fondo cambia continuamente di colore: dal nero al bianco fino al rosso e al giallo dello zolfo (siamo su un vulcano). Il calore delle prime luci del giorno contrasta con il freddo che sentiamo e il panorama di cui cominciamo a godere ci rinfranca un pò ma mano a mano che si sale la carenza di ossigeno si fa sentire: da un certo punto in avanti (intorno ai 5200 m) dobbiamo spingere la bici perché, anche nei tratti in cui il fondo è pedalabile, anche la pedalata con la corona anteriore più piccola è uno sforzo troppo continuo per essere sostenuto con l'ossigeno disponibile. L'ultima parte della salita passa tra le solfatare dove alla carenza di ossigeno si associa la presenza di nuvole di zolfo.
In vetta quota 6008
L'Uturuncu è una montagna con due cime vicine separate da una sella: la strada che sale si ferma alla sella a quota 5700 in un campo di solfatare e fanghi ribollenti. Arriviamo alle 10.30 in perfetto orario e facciamo le prime foro: dall'altra parte della sella si intravedono le lagune del Parco Avaroa.
Alla nostra destra c'è la parete con gli ultimi 300 metri: è maledettamente verticale ma il fondo è farinoso e il percorso è a zigzag.
Alle 10.58 lasciamo le bici (incustodite, tanto non abbiamo incontrato nessuno da ieri) e partiamo: ogni passo è fatica pura e per alzare il piede bisogna ogni volta fare uno sforzo straordinario. Facciamo molte pause e ci vengono in mente i racconti degli alpinisti. Dobbiamo affrontare anche alcuni passaggi su neve, che di per sé non presentano rischi particolari, ma stiamo salendo con le scarpe da bici e i piedi si infradiciano subito. Superato lo zigzag c'è un piano ghiaioso. E poi, e poi, e poi... la vetta! È dagli zero metri di Lima e da 3800 km che aspettiamo questo momento!
Arriviamo in cima alle 11.45, esultiamo e ci abbracciamo! Quota 6008 metri sul livello del mare, mai saliti così in alto nella nostra vita! Il cielo è ancora senza nuvole, la temperatura è tiepida e non c'è vento. Ma soprattutto - signori - il panorama che ci si presenta là sotto a 360 gradi ci lascia a bocca aperta! È una visione primordiale e sterminata in cui si apprezza la curvatura della superficie terrestre; sulle colline ondulate color terra bruciata si ergono a perdita d'occhio montagne più alte in cui spiccano una miriade di vulcani, alcuni innevati; è facile immaginare il ribollire del magma quando il pianeta era in "preparazione"; sono riconoscibili anche le basi di quelli che dovevano essere due ghiacciai che ancora abbracciano il Cerro Quentena, alla base del quale vediamo i luccichii delle lamiere dei tetti del paese di Quentena Chico, da cui siamo partiti ieri pomeriggio e dove dobbiamo tornare stasera. Tra una collina e l'altra le molte lagune del Parco Avaroa: turchine, bianche, verdi e rosse contrastano con il colore uniforme del deserto.
E sopra un cielo azzurro senza fine: che meraviglia!
Facciamo una miriade di foto. Non possiamo rimanere in vetta troppo tempo perché abbiamo tutta la discesa da affrontare: ci concediamo 30 minuti di cui gli ultimi 5 di contemplazione silenziosa.
La discesa a piedi non presenta difficoltà se non i sassolini che entrano nelle scarpe a tormentare i piedi ancora umidi per la neve. Tornati alle bici alle 12.40 con 20 minuti di anticipo, ci mangiamo l'ultima barretta e iniziamo la discesa in bici: se in salita si facevano i 4 km/h, in discesa si fanno gli 8 perché lo sterrato è impegativo, il campo base dista 10 km e un problema alla bici qui significa passare la notte a -20! Scendiamo con prudenza fino alla tenda dove ci diamo un bel cinque, riposiamo un pò e poi cominciamo a smantellare il campo base: sono le 14.00 ma siamo cotti e con un pò di mal di testa (che una tachipirina è sufficiente a guarire); ma la giornata non è finita. Dobbiamo tornare a 4200, a Quentena. È discesa ma lo sterrato sabbioso e roccioso farà si che ci vogliano almeno due ore, sempre che il vento non ci soffi contro.
Alle 15.30 partiamo e grazie ad un vento contrario solo moderato siamo al paese alle 17.30 (dove ci aspetta il solito secchio di acqua calda per la doccia). Il ritorno dalla sella a Quentena (31 km di sterrato) è stato facilitato dal fatto che ci è bastato seguire le tracce lasciate dai nostri copertoni all'andata (quando invece ci eravamo avvalsi di un disegno di Don Marcelo - il proprietario dell'alloggio): in due giorni non abbiamo incontrato nessuno, l'Uturuncu è stato "solo per noi" e questo ci ha dato durante la salita la sensazione di trovarci in un luogo ancora più remoto (di fatto ci troviamo in Bolivia e in mezzo al deserto del Lipez, ma se non fosse bastato...). Quando ti trovi difronte a visioni spettacolari e maestose, vorresti che tutte le persone a cui vuoi bene fossero lì a goderne con te. Scendendo però abbiamo deciso di dedicare la salita all'Uturuncu, che consideriamo la ciliegina sulla torta del nostro viaggio, alla memoria e alla famiglia di Andrea Zambaldi, astro nascente dell'alpinismo veronese, scomparso pochi mesi fa salendo verso gli 8000. Non abbiamo avuto occasione di conoscerlo direttamente, ma siamo sicuri che saliva per la stessa "in-utile" ragione per cui anche noi oggi salivamo.

martedì 18 novembre 2014

Campo Base Uturuncu (4750 m)

Scriviamo dalla tenda piantata a quota 4750 m.
Abbiamo trascorso la mattinata prendendoci cura della bici e riordinando le borse in modo da partire per l'Uturuncu con le sole posteriori (versione ultra light).  Poi - dopo mangiato - abbiamo iniziato l'avvicinamento e deciso di piantare il campo base a questa quota considerata quella di partenza (4200) e quella di arrivo (6000).
Da qui si gode una vista spettacolare sulle valli circostanti e l'Uturuncu troneggia su di noi maestoso e lievemente innevato (per fortuna la neve caduta ieri e il giorno prima si è sciolta).
Abbiamo cenato in tenda con cibi liofilizzati e la sveglia è già impostata sulle 4.
Sono le 19, c'è già buio, fuori tira un vento fortissimo, la temperatura in tenda è di 9 gradi e siamo già in sacco a pelo vestiti per partire!
Peccato non possiate seguirci in diretta!



Check-in/OK messaggio dal Pedalande Localizzatore SPOT

Pedalande
Latitudine:-22.22035
Longitudine:-67.21216
Posizione GPS Data/Ora:11/18/2014 16:24:21 PET

Messaggio:Tutto bene. Non c'è connessione. Piantiamo la tenda e domani si riparte.

Fai clic sul seguente collegamento per vedere dove mi trovo.
http://fms.ws/KMu5X/22.22035S/67.21216W

Se il link sopra non funziona , provate questo link:
http://maps.google.com/maps?f=q&hl=en&geocode=&q=-22.22035,-67.21216&ll=-22.22035,-67.21216&ie=UTF8&z=12&om=1

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lunedì 17 novembre 2014

Abbruttimento nel Lipez

"Abbruttimento" (letto con la 'e' aperta alla piemontese) è un concetto postulato da Gianni Sirotto (Verona-Pechino in bici nel 2008). Si tratta della situazione che si verifica allorquando il cicloviaggiatore per ragioni contingenti è costretto ad andare oltre il programma, oltre le sue più nere aspettative e oltre le sue possibilità.

Oggi partenza al fresco (4 gradi al risveglio) dopo che ha piovuto tutta la notte (nel deserto). Percorriamo i 30 km che non eravamo riusciti a percorrere ieri a causa della pioggia in una piana limitata a destra da pareti rocciose arrotondate e tormentate. Arriviamo a Villa Mar dove incontriamo una coppia colombiana che è in giro da 7 mesi, facciamo merenda e ripartiamo alla volta di Soniquera dove la giornata per ragioni di distanze tra paesi si deve concludere dopo un totale di 45 km di sterrato. Quando arriviamo i bambini che escono da scuola ci accolgono festosamente, correndo al nostro fianco verso il paese e approfittandone per farci tantissime domande, nonostante il fiatone. Ci facciamo indicare da loro i "punti chiave" di Soniquera (che è il solito paese di fango e sabbia) e in breve scopriamo che non ci sono posti dove mangiare (troviamo solo un alimentari che ha un pacchetto di crackers e una lattina di tonno in mezzo ad armadilli imbalsamati) e che l'alloggio che ci aspettavamo non è disponibile: la proprietaria infatti ci dice che è tutto esaurito! Beh, il paese è deserto... dicono sempre così quando non hanno voglia di lavorare... il fatto è che per noi questo significa altri 45 km di sterrato se vogliamo avere una speranza di fare una doccia e mangiare...

Gambe in spalla e tonno in pancia, si parte. Si offre di accompagnarci per un pò un signore di una certa età che pare voglia quasi misurarsi con noi con la scusa di andare a controllare il suo campo di quinoa. Il pomeriggio di abbruttimento inizia qui. Infatti appena usciti dal paese veniamo investiti da un violento temporale con crollo della temperatura. E a noi che siamo impermeabilizzati va anche bene: il povero ciclista boliviano si inzuppa (ma con disinvoltura) e arrivato a destinazione si ferma. Noi proseguiamo in una piana immensa tagliata da diversi avvallamenti che ci costringono a scendere e risalire per molti metri diverse volte. Torna il sole ed inizia la salita. Lo sterrato è brutto ma siamo determinati ad arrivare a Quetena Chico. Ci siamo appena tolti l'impermeabilizzazione quando un nuovo e più forte temporale ci sorprende: la temperatura che era risalita, ricrolla a 2 gradi, comincia a grandinare violentemente (dimensione pallini di polistirolo) e in pochi minuti la strada è bianca. Non ci facciamo intimorire: ci rivestiamo, incuranti della tempesta mangiamo un altro pò di crackers e continuiamo pedalando sulla grandine che - passato il temporale - si scioglie trasformando la sabbia in fango. Saliamo ancora e incontriamo una famiglia boliviana in fuoristrada che ci dice che mancano 20 km: come ci aspettavamo dalla cartina (ma sia noi che i boliviani ci sbagliavamo). Passiamo a quasi 4400 metri e scendiamo fino a vedere una casetta:  ma non è il paese, è la "guarderia" del Parco delle Lagune e per passare dobbiamo pagare 300 boliviani... ok, chiediamo al Guardaparco a quanti km sta il paese: 13! Molti di più del previsto (ma il Guardaparco - che ogni giorno va avanti e indietro dal paese - si sbagliava perché alla fine ce ne saranno 17, benedetti boliviani!). Abbiamo solo un'ora di luce: anche oggi si arriva col buio. Ci sforziamo di goderci la luce del tramonto che colora le prime valli del Parco ma una nuova durissima salita a 4300 mette a dura prova il nostro senso estetico: Dimitri eleva "sentite proteste" alle divinità andine (del resto siamo all'ora dei vespri) e nemmeno la prima visione di sua maestà il Cerro Uturuncu (il 6000 sulla cui vetta proveremo a salire in bici), placa la sua ira! Cominciamo a scendere quando il sole è sotto l'orizzonte. Quando arriviamo in fondo valle, del paese ancora nessuna traccia; in compenso però c'è un guado largo una quindicina di metri e con una profondità che potrebbe arrivare ai 50-60 cm: le piogge del pomeriggio hanno gonfiato il torrente e questo significa passare con la bici quasi totalmente immersa mentre la temperatura ambientale, non essendoci più il sole, è di nuovo a 3 gradi... non ci sono ponti e non abbiamo alternative... per fortuna con l'ultimo raggio di luce vediamo che un pò più a valle l'acqua si increspa sulle rocce del fondo: è meglio passare lì. Al grido veneto di "Va in mona, abbruttimento per abbruttimento facciamo anche questa!" Dimitri si lancia spingendo la bici per il manubrio: per fortuna nel punto prescelto l'acqua è meno profonda e ci immergiamo fino al ginocchio. Riprendiamo a pedalare con le gambe fradice e congelate. Ormai è completamente buio. Quando i 13 km del Guardaparco sono percorsi... di Quentena Chico nessuna traccia. Ma proprio mentre cominciamo a demoralizzarci, ecco delle luci in lontananza! Non capiamo la distanza ma il paese c'è! Poco dopo in compenso arriviamo ad un altro guado. Questa volta siamo completamente al buio, non abbiamo minimamente idea né della larghezza, ne della profondità: le luci del paese ci danno fiducia, cerchiamo coi fari un'increspatura dell'acqua e ci buttiamo. Le gambe ormai sono anestetizzate ma per fortuna i muscoli funzionano ancora! Non vediamo nemmeno fino a dove ci immergiamo ma senza scendere dalla bici arriviamo dall'altra parte...
Ultimi chilometri... il paese in realtà è quasi completamente al buio: vediamo una casa illuminata con alcuni fuoristrada parcheggiati: è un alloggio, sono le 20 e - per fortuna - c'è un posto anche per noi! Nel paese ormai qualsiasi posto dove si possa mangiare è chiuso, ma il proprietario ci assicura una zuppa di verdura, un pezzettino di carne e un piatto di riso scondito... la dieta continua... arriva anche la solita pentola di acqua calda con cui possiamo farci la doccia... super lusso!

domenica 16 novembre 2014

Pioggia nel deserto

Ieri sera ormai col buio ci raggiunge a S.Agustin Julian, il ragazzo francese che abbiamo incontrato a Colcha K. Viaggia con un carrello e come sia riuscito a trascinare anche il carrello in tutta quella sabbia in cui noi facevamo fatica a trascinare la bici, Dio solo lo sa.
Stamattina partiamo tutti insieme. I primi chilometri di strada sono di sabbia e di nuovo dobbiamo spingere. Poi il fondo migliora ma arriva la salita con un paio di guadi facili. Dopo il passo si scende in uno splendido canyon dove la strada è ancora sabbiosa ma scorre in mezzo a pareti rocciose e vicino a un piccolo corso d'acqua che consente all'erba di crescere e ai numerosi lama di nutrirsene. Quando il canyon finisce e si entra in una piana sconfinata, si è arrivati a Villa Alota, un paesino quasi disabitato di fango con le vie di sabbia dove facciamo una pausa pranzo monacale con acqua, crackers e formaggio su una panchina. Ripartiamo alla volta di Villa Mar che dista 49 km e salutiamo Julian. Sul più bello che abbiamo superato uno scalino di 200 metri di dislivello , siamo usciti dal tratto di strada sabbiosa e - udite udite - abbiamo vento a favore... dobbiamo fermarci: davanti a noi c'è in corso un forte temporale con una vera selva di fulmini. Lo slalom tra le trombe d'aria lo abbiamo fatto ma quello tra i fulmini decidiamo di evitarlo perché essendo noi l'unica cosa che sporge dal suolo nel raggio di diverse decine di chilometri, una certa possibilità di essere centrati c'è... più prudente montare la tenda anche se è presto e aspettare domattina... abbiamo viveri e acqua... recupereremo domani la strada.
Pregustiamo il risotto agli asparagi ma sul più bello che apriamo la pentola in cui Alberto per comodità aveva riposto la busta del risotto col fornellino... scopriamo che le vibrazioni della strada hanno fatto si che il fornellino tagliasse il sacchetto in cui era custodito, tagliasse anche la busta del risotto e facesse in modo che il sale in essa contenuto reagisse con l'alluminio della pentola: il risotto è immangiabile: in questo viaggio non vuole andarci bene con il cibo... non essendoci lama in giro e essendo comunque dotati della sola fionda, ripieghiamo su due zuppette ai funghi da 250 kcal a testa... ci consoliamo dopo cena con la visione sul minipc di Che/Guerriglia... quando capita di vedere un film in una tenda piantata in mezzo al deserto del Lipez mentre piove (nel deserto!).




Raggiunta quota 1.010 euro (dato Progetto Mondo MLAL)

Cari lettori,
grazie alla sensibilità di 14 generosi lettori le donazioni sono arrivate a 1.010 euro (dato riferito al solo Progetto Mondo MLAL, in arrivo presto anche gli altri)
Ripetiamo però che non sono indispensabili grandi cifre, bastano anche pochi euro.

Nel frattempo vorremmo fare molti chilometri indirtro e tornare sul progetto di Colomi. Perché ci sono informazioni che potrebbero interessare a qualcuno di voi.
La casa ha oltre 80 posti ma le ragazze che si riesce a mantenere agli studi sono poco.meno di 60, nonostante le richieste.
Se qualcuno dei lettori desiderasse dare una mano a una ragazza a cambiare la propria vita grazie allo studio, può farlo "adottandola". Il costo del mantenimento "globale" della ragazza è di 600 euro/anno. Il "padrino" e/o la "madrina" ricevono 3 aggiornamenti all'anno ma potrebbe essere anche una buona occasione per venire di persona a conoscere la ragazza,  la casa di Colomi e a vedere di persona questo paese meraviglioso che è la Bolivia.
Chi aiuta una ragazza a studiare,  cambia la sua vita, della sua famiglia e della sua comunità.
A chi va alla Casa Estudiantil, poi, viene rubato il cuore: parola di Pedalande!

sabato 15 novembre 2014

Dia-stop



Toelettatura
E' proprio il caso di dirlo. Non è la marca di un antidiarroico. Ma il fatto che oggi ci siamo dovuti fermare a S.Agustin perché la gastroenterite di Alberto che aveva dato in primi segni ad Uyuni si è scatenata in tutta la sua potenza: passata la notte in bagno.
In realtà stavolta di goliardico c'è stato poco: la qualità di liquidi persi è stata impressionante e la risposta agli antidiarroici è stata inconsistente. Iniziato anche antibiotico con miglioramento nelle ore successive. Per un momento abbiamo pensato di dover ricorrere al puesto de salud - che è a 30 metri dal nostro allogio - per una reidratazione endovenosa.
La Bolivia è un luogo meraviglioso ma dal punto di vista microbiologico è una bomba!
Ambulanza a San Augustin
Ripartiamo domani mattina accorciando la tappa a 35 km.

venerdì 14 novembre 2014

L'aratro a pedali


Salutiamo Julian (che deve tornare indietro a Puerto Chuvica a vedere se ritrova il fornellino che ha dimenticato là) e partiamo. A sud del Salar di estende una sconfinata piana di terra. Noi saliamo lungo il pendio che lo limita a est e godiamo di una vista spettacolare in mezzo a enormi cactus molto strani: sembrano gonfi, tipo omino Michelin .
La strada anche oggi sarà tutta sterrata ma con agilità copriamo i 30 km che ci portano a San  Juan. Arriviamo presto, alle 11, e oggi abbiamo "solo" altri 35 km. Così decidiamo di fermarci qualche ora: ci hanno parlato delle "mummie" di San Juan... chiediamo e ci indicano una casetta alla base della montagna. In realtà si tratta di una necropoli dove i morti venivano inumati in cavità situate in roccie vulcaniche che spuntano dalla sabbia del deserto. Non capiamo bene a quando risalgono e speriamo non siano i resti dei ciclisti che hanno tentato - come noi - la traversata del Deserto del Lipez.
Troviamo anche un Hostal/Ristorante dove ci permettiamo un pranzo di vera cucina boliviana. Davvero sorprendente.
Partiamo quindi alla volta di San Augustin, dove contiamo di passare la notte.



La prima metà del percorso passa in una maestosa landa desolata che termina con l'attraversamento della linea ferroviaria che va a Uyuni: impressionante, un treno che passa in pieno deserto.
La seconda parte del percorso è invece vero deserto di sabbia e il Lipez ci mette subito alla prova: dobbiamo scendere e spingere perché al massimo della forza la ruota posteriore fende la sabbia come un aratro, solo che in trazione non c'è la coppia di buoi ma le nostre gambe sui pedali.
Arriviamo al paese al tramonto e per fortuna troviamo subito un alloggio per la notte con doccia formato catino scaldato direttamente sul fuoco.
Una cosa è certa: domani andiamo verso Zoniquera, non riusciamo a capire quanti chilometri sono da qui (tutti ci dicono cose diverse). Se la sabbia è tanta potremmo decidere di interrompere la linea continua da Lima in giù. Spingere per molti chilometri la bici di 50 kg nella sabbia è massacrante più che pedalare contro vento.

giovedì 13 novembre 2014

Fuori dal Salar (in bellezza)


Il risveglio alla Isla Incawasi è spettacolare. Ci troviamo sotto un pendio bruno alto una cinquantina di metri dominato da cactus cilindrici. Arrivando col buio non ce ne eravamo accorti! Il pendio cade nel mare di bianco. E noi siamo - per così dire - sulla spiaggia. Di
 fronte a noi il piano bianco infinito incontra l'azzurro assoluto del cielo limpido all'orizzonte dove il sole splende e riscalda. Non c'è più vento e la temperatura è mite.
La colazione sulla "spiaggia" tutta per noi è parca ma lo spettacolo è indimenticabile.
Ci godiamo lo spettacolo per un'ora, scattiamo le foto e partiamo.
Giriamo intorno all'isola perché dobbiamo cercare la traccia che ci deve portare a sud verso la parte meno battuta del Salar. Sbagliare qui significa perdersi e perdere ore e energie (abbiamo acqua e viveri contati, meglio non rischiare).
Dall'altra parte dell'Isla, c'è il centro di accoglienza per i turisti, dove troviamo un gruppo di ragazzi di Torbole (TN) e dintorni con cui rimaniamo a chiacchierare amabilmente per un pò.
Individuiamo la pista e partiamo verso sud: il vento non c'è e la pedalata liscia nel mare bianco è fantastica. Dopo 20 km raggiungiamo il promontorio che dobbiamo conteggiare per trovare Puerto Chuvica, l'uscita dal Salar. Ad un tratto ci pare di vedere un paesino, proprio mentre la pista finisce nel nulla. Allora proviamo a raggiungerlo ma ci troviamo davanti un area dalle grandi lastre di sale che si rompono sotto il peso delle ruote, impedendoci di avanzare. Proviamo a tornare sulla traccia ma non la troviamo più.
Allora decidiamo di procedere a vista verso sud, fino a quando scorgiamo in lontananza un cartello: è l'uscita dal Salar! Ce l'abbiamo fatta.
A Puerto Chuvica facciamo una breve pausa presso la Cueva del Infierno (che sfortunatamente è chiusa) e ripartiamo per i 20 km che ci separano da Colcha K dove contiamo di fermarci a dormire.
Dopo 5 km Dimitri chiede cibo e ci accorgiamo che il sacchetto del pane che era attaccato dietro le borse di Alberto non c'è più! Si deve essere staccato e lo abbiamo perso. Dimitri è costretto a percorrere i 15 km mancanti in crisi di fame e nonostante i biscotti è come il robottino della Duracell senza pile... alla fine arriviamo a Colcha K, dove integriamo con crackers e carne in scatola. Con fatica troviamo un alloggio e Dimitri riesce anche ad aggiustare la doccia che però dura solo il tempo di lavarsi. Incontriamo presso il nostro alloggio Julian, un ragazzo francese che da un anno è partito dalla California e sta scendendo verso la Patagonia (ci racconta che in Honduras lo hanno rapinato con la tecnica dell'affiancamento in moto ed esibizione di machete).
Domani ci addentriamo nel deserto del Lipez.


mercoledì 12 novembre 2014

Incubo Salar


Ritardiamo la partenza perché Alberto potrebbe avere i primi sintomi di gastroenterite. E nel Gran Salar non ci sono posti dove appoggiare la bici ma soprattutto non ci sono cespugli. E soprattutto è meglio non partire se siamo in condizioni mano che perfette, visto cosa ci aspetta nei prossimi giorni.
Alla fine Alberto regge bene la colazione e con medicine alla mano, si decide di partire.
I 23 chilometri che separano Uyuni da Colchani (la porta del Salar) non sono particolarmente significativi e l'ingresso al Salar è un labirinto: ci sono piste che partono in tutte la direzioni e il suolo è una gran melma. Chiediamo agli autisti degli innumerevoli fuori strada e alla fine capiamo come fare. In un sobbalzo la bussola di Dimitri (che è assolutamente fondamentale per orientarsi nella distesa bianca) si sgancia e la perdiamo. Per fortuna Dimitri se ne accorge subito, delimitiamo la zona delle ricerche e in breve la troviamo.
Entriamo nel Salar: i primi 12 km sono un piacere. Pedaliamo sul sale duro come l'asfalto perché battuto dalla carovana di fuoristrada in mezzo ad un infinito piano bianco in una luce accecante. Le distanze sono sfalsate: una macchina che proviene in senso contrario si vede da 30 km come un punto e non sai se è un monte, un uomo,  una macchina o un cartello.
Gli esagoni del sale si perdono all'orizzonte a destra e a sinistra. Arriviamo all'Hotel de Sal, importante punto di riferimento dove si fermano le carovane di fuoristrada e dove mangiamo i nostri panini.
Dopo un pò di pausa ripartiamo per la Isla Inkawasi. E qui la giornata si trasforma in incubo. Scopriamo che i chilometri sono più del previsto ma la cosa peggiore è il vento. Sale un vento freddo, contrario e fortissimo. Degno della peggiore Patagonia. Pedaliamo a velocità intorno agli 8 km/h al massimo sforzo sul piano salato. Ci diamo il cambio a tirare ogni 5 km ma è durissima. 30 km prima dell'arrivo vediamo la Isla che però non si avvicina mai. Passano le ore. Non possiamo piantare la tenda nel mezzo del salar perché i fuoristrada passano anche di notte e anche fuori dalle piste, non abbiamo sistemi di segnalazione della nostra presenza e non ci vedrebbero in tempo. Non abbiamo scelta: dobbiamo raggiungere la Isla. La raggiungiamo dopo uno sforzo immenso alle 20, dopo un'ora e mezza di pedalata al buio, guidati nel nulla dalle stelle con il vento che soffia rabbioso, urlando per condividere il da farsi. 
Piantiamo la tenda dove possiamo al buio e a temperature polari cercando di tenerne fermi i teli come possiamo. Fortuna che la Hilleberg di Dimitri non teme strappi e dentro è caldissima.
Ci facciamo un litro e mezzo di the caldo e una banana e andiamo a dormire esausti nel caldo dei super sacchi a pelo.

Avviso ai lettori

I prossimi due giorni li passeremo all'interno del Grand Salar da cui uscuremo direttamente nel deserto del Lipez che contiamo di attraversare in 4 giorni per arrivare all'attacco dell'Uturyncu (6000 m) per salire il quale mettiamo in cantiere 3 giorni. Poi 4 giorni per arrivare a San Pedro de Atacama in Cile passando per il Parco delle Lagune. Sarà la parte più dura del viaggio. Non sappiamo se potremo comunicare.
Sia noi che le bici siamo pronti.

martedì 11 novembre 2014

Uyuni, alla frutta

I materassini sono riusciti solo in parte ad attutire il suolo duro e irregolare. Ci svegliamo un pò doloranti, smontiamo la tenda e ripartiamo. Qualche chilometro fuori Tica Tica ci fermiamo a fare colazione a bordo pista: wafer, aranciata, succo di mango... nel deserto col sole già alto alle 7. Poco dopo comincia il vento. Nei nostri racconti ne abbiamo parlato poco ma da quando abbiamo fatto l'offrenda alla Pachamama (Sicuani in Perù) ogni giorno - salvo quello di arrivo a La Paz - abbiamo avuto vento contrario. Se cambia la direzione della strada, cambia anche quella del vento in modo che il vento sia sempre contrario e frontale. Oggi quando ci fermavamo, si fermava anche il vento e appena riprendavamo, riprendeva. Oramai ne siamo certi: poco davanti a noi ci deve essere - invisibile - la Pachamama in persona con un ventilatore che si fa delle grosse risate... infatti pedaliamo per 85 km controvento. In particolare il vento è teso e forte in una piana meravigliosa e interminabile che percorriamo in mezzo ai lama che da bordo pista ci guardano faticare. Il paese a 30 km dove pensavamo di trovare rifornimenti in realtà sono due case disabitate e quello successivo a 67 km - Pulacayo - dapprima appare come abbandonato, mentre, dopo la salitona per arrivarci, scopriamo che ci sono persone che ci vivono ma per entrarci bisogna pagare perché l'ingresso al paese coincide con l'ingresso al cimitero dei treni... mandiamo a quel paese il militare che ci invita a pagare il biglietto, mangiamo un pacchetto di cracker ad una bancarella fortunatamente aperta fuori dall'abitato e proseguiamo. Arrivati al passo (4300 m), si apre una vista mozzafiato: a sinistra il deserto del Lipez, bruno, in cui si ergono diversi rilievi (tra cui il nostro amico Uturuncu) e che in quel momento è solcato da almeno 5 trombe d'aria: colonne di sabbia che si aprono ad imbuto verso l'alto...  dobbiamo passarci nei prossimi giorni... speriamo bene! A destra... signori e signori... il mare di bianco... sua maestà il Gran Salar di Uyuni... una distesa sconfinata e accecante. L'idea di questo viaggio in primis è partita da lui, il sogno di ogni cicloturista.


Siamo alla frutta perché abbiamo fatto tutta questa strada contro vento praticamente a digiuno, ma questa visione dall'alto ci ricarica.
Scendiamo veloci ad Uyuni, paesotto un pò bruttino, dove - trovato alloggio - cominciamo i preparativi: nei prossimi 2 giorni dovremo viaggiare in autonomia totale perché dentro il Salar non c'è nulla... solo sale per centinaia di chilometri!